Quando i numeri non contano

“Carneade! Chi era costui?”
A qualcuno sarà tornata in mente la frase di Don Abbondio che apre l’ottavo capitolo dei Promessi Sposi, lo scorso 27 febbraio, quando l’Istituto dei Masters of Wine ha annunciato il nome del primo italiano a potersi fregiare del titolo: Gabriele Gorelli.

(Apro una breve parentesi per dire a chi non lo sapesse cos’è The Institute of Masters of Wine. È la più autorevole organizzazione che si occupa di vino, nata nel Regno Unito più di settant’anni fa – il primo esame fu nel 1953 – e che da allora ha riconosciuto solo 493 membri; a riprova della difficile selezione che occorre superare per entrare a farne parte.)

Ma Gabriele Gorelli, che ora può fregiarsi delle due lettere MW dopo il proprio cognome, è tutt’altro che un carneade.

Classe 1984, originario di Montalcino – per una volta un profeta in patria –, da sempre si occupa di vino: non solo gestendo la più piccola cantina ilcinese, ma occupandosi, con due diversa società da lui fondate, della comunicazione visiva del vino, vendita e marketing. Parla correntemente inglese e francese, se la cava col tedesco e pratica yoga (che nulla ha a che fare col vino, ma di sicuro aiuta a mantenere la concentrazione e a stemperare le tensioni).

Semplicemente Gorelli non è nome noto ai più perché si è tenuto nascosto dal mondo social, impegnandosi a lavorare e a studiare per conquistare il suo titolo. Basti pensare che la sera del giorno della proclamazione ufficiale da parte dell’IMW i suoi follower su Instagram erano 1.499; mentre ora che scrivo, dopo 2 giorni, hanno raggiunto quota 2.400.

Insomma, oltre all’orgoglio di avere un connazionale finalmente ammesso al club dei Master of Wine, abbiamo la speranza che (forse) i titoli e i meriti acquisiti sul campo contino di più che un manipolo di seguaci virtuali.

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