Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna.
Mizuta Masahide
Nell’estate del 2018 rimasi colpito da un breve filmato dove, in poco più di due minuti, veniva spiegato cosa è il sake. Ne fui colpito non solo perché l’argomento mi interessava, ma soprattutto per la chiarezza e la brillantezza di chi parlava.
Fatto sta che appena terminata la visione interrogai subito Google e scoprii che in Italia si organizzava un corso per diventare Sake Sommelier, il cui docente era lo stesso protagonista del filmato, Lorenzo Ferraboschi.
Ecco come è iniziato il mio percorso nel modo del fermentato di riso giapponese.
Il corso ovviamente l’ho fatto, ho sostenuto e passato l’esame e da ormai più di due anni sono Sake Sommelier Certificato SSA (Sake Sommelier Association).
Arrivando dal mondo del vino avevo due alternative per approcciarmi al sake: fare continui paragoni oppure cancellare – temporaneamente – tutto quello che ho imparato e insegno.
Ho optato per la seconda strada, e sono sempre più convinto di aver fatto la scelta corretta.
Perché se e vero che ci sono alcuni punti di contatto tra sake e vino, le differenze sono tante, così come estremamente diversa è la degustazione, che mette in discussione i parametri a cui ero abituato.
Senza dimenticare la diversa cultura che ha dato origine al sake: cultura che con le sue tradizioni e con il suo approccio alla produzione rispecchia perfettamente il Giappone.
Sono così entrato in un mondo vasto, variegato e complicato, ma proprio per questo affascinante.
Perché non esiste un sake, ma esistono tantissime tipologie di sake (e qui il paragone col vino ci sta tutto) tra cui a volte districarsi non è facile.
E proprio per il suo essere così sfaccettato, il sake ha grandi potenzialità, soprattutto nell’abbinamento a tavola. E non solo con la cucina giapponese; anzi, osando un po’ diventa il perfetto compagno anche delle preparazioni italiane più tradizionali.
Ma attenzione: non si tratta di un avversario vino, bensì di una sorta di fratello o di amico, in grado di sostituirlo senza però mai metterlo da parte.
Questo è anche quello che ho cercato di trasmettere nelle (purtroppo poche) serate di divulgazione che tra un confinamento e l’altro sono riuscito a organizzare.
E ho sempre trovato un pubblico non solo attento e curioso, ma anche entusiasta e conscio che il sake non è solo una moda ma qualcosa di molto più solido e concreto.