Il linguaggio del linguaggio

 

«Chi conosce in profondità si sforza d’esser chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine si sforza di essere oscuro.»
Friedrich Nietzsche

 

Ero decisamente impaziente di leggere Il linguaggio del vino di Francesco Annibali.
Talmente impaziente da averlo ordinato praticamente en primeur, aspettando che uscisse dalle rotative.
Un paio di commenti più che positivi, fatti da persone che stimo molto, mi avevano convinto all’acquisto, praticamente a scatola chiusa.
L’altro motivo che mi aveva spinto all’acquisto, sicuramente meno istintivo e più ragionato, era il fatto che il libro prometteva nuova luce e nuovi orizzonti nel modo di comunicare il vino. E per me, che del raccontare il vino ho fatto un mestiere, ogni nuova occasione di aggiornamento e novità è fondamentale.

Iniziamo dalla forma, che non sempre litiga con la sostanza.
Il testo del libro non è giustificato: cosa che se posso ammettere in una poesia futurista (come lo Zang Tumb Tumb di Marinetti) ma che credo sia inammissibile in un saggio. La lettura, già non agevole per la complessità del contenuto e per una scrittura spesso non troppo lineare, è resa ancora più difficoltosa dal disordine delle pagine.

Superato – meglio, accettato di cattivo grado – lo scoglio grafico, arriviamo alla sostanza. Che è stata inferiore alle aspettative: se andiamo a togliere la farcitura dei rimandi a semiologi e filosofi ed eliminiamo le ripetizioni, i concetti, seppur validi e validamente argomentati, rimangono pochi.

Se le prime due parti del volume – che affrontano il linguaggio della degustazione e il contesto in cui si colloca il vino – offrono alcuni spunti interessanti, la terza mi ha dato l’impressione di un riempitivo in cui l’autore dice la sua su alcuni temi, primo fra tutti il vino “naturale”. E, seppur condivida alcune delle opinioni espresse, le trovo francamente fuori tema.

 

Acquisto sbagliato?
Sono sincero: a caldo avrei detto di sì.
Ma ho lasciato apposta decantare lettura e impressioni prima di scriverne, e sono andato a rileggere alcuni passaggi.
Il mio umilissimo parare e che si tratta in ogni caso di un’opera coraggiosa: che avrebbe bisogno di maggior semplicità, un pizzico di autoreferenzialità in meno e una diversa organizzazione del contenuto.
E, per favore, con il testo giustificato!

Vino in abbinamento
Ci sono annate che regalano vini che sanno unire alla complessità un’estrema facilità di beva. Una di queste è stata la 2018, e il vino che berrei a lunghe e appaganti sorsate, a dispetto della sua eleganza e della sua struttura, è il Barbaresco Roncaglie di Poderi Colla.

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