Densamente spopolata è la felicità.
(CSI, Bolormaa)
Tra i tanti allievi che hanno accompagnato i miei ormai dodici anni di docenza Ais, qualcuno è rimasto impresso più di altri.
Uno di questi spiccava non solo per il suo abbigliamento elegantemente fuori dagli schemi e per la gentilezza nei modi, ma anche per una sorta di inquietudine che traspariva dai sui occhi.
Anche se con lunghe pause, sono sempre rimasto in contatto con Paolo Bonesso durante i suoi numerosi girovagare per il mondo.
Ultimamente, grazie a una comune amica, ho avuto modo di rivederlo e di condividere con lui qualche bottiglia. E ho scoperto che ha al suo attivo ben due romanzi.
Il secondo si intitola Le felicità nascoste e ha come sottotitolo Memorie involontarie di un bevitore di vino.
La sinossi del romanzo è semplice: un uomo giunto al suo centesimo compleanno rievoca, grazie a delle bottiglie di vino, episodi e persone del suo passato.
Ma il libro è decisamente più ricco e denso del mio scarno riassunto.
Innanzitutto è doveroso precisare che non parla di vino, ma che il vino è un semplice pretesto, visto che si sarebbe potuto tranquillamente ricorrere a una canzone, a un film, al colore di un tramonto, alla forma di una foglia.
Il libro è denso e doloroso, con un respiro a tratti profondo e disteso e a tratti veloce e quasi affannoso.
I personaggi che lo popolano – alcuni scavati nel profondo, altri solo abbozzati – riescono comunque tutti vivi e ci troviamo a vivere e soffrire con loro, quasi li avessimo conosciuti anche noi. E Paolo li accompagna con una scrittura sempre precisa, a volte secca e quasi scarna, a volte più ricca e poetica.
Ma soprattutto Paolo racconta se stesso, le sue emozioni, le sue (tante) malinconie, i suoi rimpianti e i suoi istanti felici. E questo suo mettersi a nudo, oltre a essere coraggioso, è impreziosito dalla prosa, emozionata ma sempre controllata.
Il vino, da pretesto narrativo, a fine lettura diventa quasi necessario per cercare consolazione e oblio. E magari per aiutare anche noi a ricordare.
Vino in abbinamento
Che vino abbinare a un libro che ha il vino come filo conduttore? Sicuramente un vino della memoria, un vino che ci porta alla mente il passato o delle consuetudini ancora vive, una sorta di madeleine alcolica. Io non scelgo un vino bensì un vermouth: il Punt e Mes che mia nonna mi offriva immancabilmente – e sempre meno diluito con acqua man mano che crescevo – ogni volta che andavo a trovarla.